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Campo Scuola


Il Campo Visto dai Genitori

 

(Ansie e speranze del passato e del presente di fronte a bambini che diventano…grandi)

 

Finalmente dopo alcuni anni e parecchie richieste da parte della Dottoressa, Antonio si decide a partire per Misurina.

Purtroppo quell’anno non c’era più posto disponibile e così si aspetta l’anno successivo, un anno è lungo da passare, però arriva il momento della partenza. Tutto pronto, si va alla stazione; senza noi genitori, titubanti ma fiduciosi, salutiamo. A casa aspettiamo telefonate che non arrivano, tranne la prima per dirci “siamo arrivati”, ma come dicono sempre i miei figli: niente di nuovo, buona nuova.

Passa la settimana: rieccoci alla stazione leggermente in ritardo; lo troviamo con il broncio, smunto e poco ciarliero, aveva trascorso una nottataccia tra glucosate e fleboclisi. Dunque come immagine era poco confortante, ma a cominciare da quel primo soggiorno Antonio è sempre stato il primo in casa ad interessarsi negli anni successivi  per continuare l’esperienza; a sentire lui cosa farebbero i medici se non ci fosse!

I soggiorni gli sono serviti in maturazione e responsabilità specialmente quando noi genitori non siamo presenti; sono stati l’inizio di altre uscite con gruppi diversi e a dirla tra noi era ora che qualche giorno non si pensasse ad orari, test ed iniezioni!

  La mamma di Antonio ‘91

 

La prova più dura l’abbiamo vissuta sia io che lui quando per la prima volta dopo anni di simbiosi ci siamo divisi per il suo primo soggiorno a Misurina.

Non dimenticherò mai quella mattina alla stazione quando Enrico stava per partire. Il mio cuore era come impazzito, il treno si stava muovendo lentamente ed io mi sentivo morire, ma dovevo farmi forza. Guardavo le altre mamme, sembravano tranquille forse, perché non erano come me alla loro prima esperienza. Mi forzavo di restare calma il più possibile, il mio bambino stava per staccarsi da me per imparare con la paziente collaborazione della Dottoressa ad arrangiarsi in tutte le sue cose.

Enrico era ormai partito ed io fino a quel momento avevo sorriso e scherzato, rimasta sola mi sono lasciata alla disperazione.

Ma con il passare delle ore e dei giorni prendevo sempre più coscienza che quel distacco era la cosa più giusta, non tanto per me, ma per il mio ometto, in quanto anche lui doveva imparare ad arrangiarsi da solo.

Sono passati tanti anni ed Enrico continua ad andare a Misurina.

La lontananza per me è sempre dolorosa ma ora la vivo con più serenità perché mi sono reso conto che questo distacco è soltanto l’inizio di una vita che Enrico dovrà vivere con le proprie forze come tutti gli altri ragazzi di questo mondo.

  La mamma di Enrico ‘91

 

In un primo momento l’idea del campo scuola mi sembrava azzardata, dato che tutta la famiglia doveva ancora capire, accettare, questa cosa chiamata “diabete”.

Confidando nell’esperienza dei medici che accompagnavano questi ragazzi ho lasciato partire Giuseppe.

Questa prima esperienza lontano da casa, anche se angosciante come comprensibile, mi è servita a capire che lui non è diverso da nessun altro ragazzo.

Giuseppe è tornato da Misurina entusiasta, perché oltre ad aver imparato e messo in pratica molte cose importanti per il suo diabete, ha anche imparato a sciare.

Ora Giuseppe gestisce da solo il suo diabete senza nessun aiuto. Pratica diversi sport con ottimi risultati; fa quello che fanno gli altri ragazzi della sua età senza tanti problemi.

  La mamma di Giuseppe ‘91

 

Il treno comincia lentamente a scivolare sulle rotaie, non so spiegare quello che provo, un senso di vuoto, una impercettibile angoscia, il treno si fa più veloce, con baldanza infila la curva e, dietro di essa, sparisce del tutto.

Ma allora è vero! Me lo sta portando via sul serio!

Resto per un attimo ammutolita a fissare quella curva al di la del cavalcavia, mi sento a disagio, anche fisicamente, qualcosa mi è stato strappato.

Ma sono brevi momenti, rientro in me stessa dandomi della stupida; in fin dei conti, è andata bene, è successo proprio quel che volevo, sono riuscito a convincerlo, è una vacanza, gli ho detto, vai a Misurina e ti diverti; poi sei grande, hai nove anni, vuoi sempre restare attaccato alla mamma?

Ma quella sottile angoscia non vuole abbandonarmi: non sono preoccupata per il suo diabete, anzi, là ci sono i medici, meglio che a casa.

È piuttosto la sensazione che lui debba sentirsi a disagio, debba, in qualche modo, soffrire. Sì perché noi madri abbiamo la pessima abitudine di voler sempre risparmiare la sofferenza ai nostri figli; per non patire noi, anche.

Ma la ragione mi fa capire che devo lasciar crescere mio figlio, che devo permettergli di essere responsabile di se stesso, che è importantissimo che impari da solo a gestire il suo diabete per sentirsi più sicuro, più forte. Insomma, devo aiutarlo nel modo più giusto: staccandolo da me. Con serenità.

Finalmente, nel primo pomeriggio, telefono all’Istituto. Sì, sono arrivati bene. Lo chiamano: la sua voce tradisce l’entusiasmo, è contento, ha fretta, certo, deve disfare la valigia (con tutte quelle cose inutili che ci ho messo dentro, quasi a voler esorcizzare il disagio del distacco!).

E questo è tutto. Non lo sentirò più fino al martedì seguente, chiamerò io per avere notizie. Lui, pare si sia dimenticato di avere dei genitori (anche se so che non è vero).

Tutto questo, peraltro, mi rende tranquilla e serena. Anzi, e non mi vergogno a dirlo, quasi comincio a sentirmi sollevata a stare un po’ di giorni senza di lui. Non c’è più l’assillo delle glicemia, delle iniezioni, delle “ipo” e delle “iper”. Questo intervallo fa bene a lui e fa bene a me.

Adesso ha tredici anni, ha imparato tutto sul diabete, ne parla serenamente con chiunque, sa autogestirsi, se io non ci sono se la cava; non sempre, però, la volontà lo induce a un buon autocontrollo.

Non importa.

A Misurina si getta un seme; sicuramente nel futuro darà i suoi frutti. Per questo non posso che ringraziare tutti quelli che di ciò si prendono carico con tanta dedizione.

Ormai, col passare degli anni, le partenze sono più serene, la valigia si è assottigliata, il treno non è più il mostro d’acciaio della prima volta, anche se, quando sparisce dietro la curva, il cuore mi si stringe lo stesso……..

  La mamma di Piero ‘91

 

Domenica mattina: ti osservo dietro il finestrino dell’autobus, cercando di immaginare i tuoi sentimenti.

Quasi inconsciamente, cerco conferma ai miei dubbi e alle mie ansie e provo a leggere nel tuo volto i segni della nostalgia, dell’insicurezza.

Ma invano: la tua attenzione è rivolta alle amiche vicine, forse il tuo pensiero corre alla neve e alle montagne che ben conosci; di certo la serenità e la spensieratezza dei tuoi dodici anni hanno il sopravvento.

L’autobus si muove: hai appena il tempo di fare un rapido cenno di saluto con la mano e poi il tuo sguardo luminoso scompare alla mia vista portando con sé i suoi segreti migliori.

Rimango fermo, sul marciapiede, mentre i miei pensieri corrono istintivamente all’indietro, esattamente ad un anno fa.

Stesso giorno, stessa situazione: la partenza per il “campo-scuola” di Misurina.

Ricordo….

 

… il tuo salire frettoloso sull’autobus, quasi a voler evitare l’emozione di un saluto troppo lungo e il peso di mille raccomandazioni,

… il tuo sguardo che cercava di sfuggire il mio, nella certezza che difficilmente avrebbe trattenuto una lacrima,

… il tuo cercare nelle compagne vicine quella sicurezza che io e mamma non avevamo saputo infonderti.

Era la prima volta che ti allontanavi di casa da sola: affioravano in te, ma più ancora in me, le incertezze, i dubbi, forse le paure.

Lo spettro della malattia rendeva più ansioso e denso di incognite il primo distacco, caricandolo di attese e preoccupazioni più forti.

Un insieme di sensazioni contrastanti si affollavano quella mattina di una anno fa nella mia mente: dalla speranza che l’esperienza contribuisse a rinforzare il tuo senso di autonomia e di fiducia in te stessa, all’inquietudine per non averti sotto il controllo diretto, al timore che il cordone ombelicale che ancora ti legava a noi, stesse per rompersi .. e stavolta per sempre.

Con questi pensieri, quasi attratto da una forza irresistibile, ho ripreso la strada che mi riportava, solo, verso casa, accodandomi istintivamente all’autobus, mentre un nodo mi serrava la gola.

Ho percorso i pochi chilometri in direzione di Venezia, con gli occhi puntati su quel finestrino, da cui speravo di vedere spuntare ancora per un po’ il tuo volto, nel tentativo di rimandare di qualche minuto il definitivo distacco.

Poi si sono succedute le sere silenziose, in una casa diventata improvvisamente più vuota, nell’attesa che uno squillo del telefono ristabilisse un contatto reale tra di noi; ogni volta il piacere e l’emozione di sentire la tua voce coglievano me e la mamma di sorpresa, dando voce soltanto alle solite domande un po’ banali e lasciandoci nel dubbio fino alla volta successiva

-“Sarà contenta?”

- “Sì, ma mi sembrava emozionata”

- “A me sembrava un po’ triste… Le mancheremo?..”

Di certo mancavi a noi!

E’ giunto in fretta il giorno del ritorno: l’apparente freddezza con cui ci hai incontrato e una certa ritrosia nel raccontarci ciò che avevi vissuto mascheravano forse l‘emozione e l’orgoglio di aver superato positivamente una esperienza naturale ma importante per la tua crescita, sconfiggendo tutte le ansie e le tensioni di cui l’avevamo inutilmente circondata.

Averlo capito prima!

 

Ricordo…. mentre anche oggi, come un anno fa, l’autobus scompare in fondo alla strada: stavolta rimango fermo, assorto nei miei pensieri che ripercorrono lentamente un intero anno della nostra vita,  mentre l’immagine di una ragazzina che ha imparato a badare a se stessa prende forma e diventa sempre più nitida nella mia mente.

Non c’è più bisogno di tenerti per mano, ma anzi il tuo sguardo sereno infonde sicurezza anche a me. Sembra passato tanto tempo da quella domenica mattina di un anno fa…

Mi accorgo che assieme a te, pur tra mille resistenze, sono cambiato anch’io: anche se con un po’ di emozione devo riconoscere che ora puoi cominciare ad affrontare anche da sola le esperienze della vita.

Ormai sei lontana.

Avrò dinanzi tutta una settimana per riflettere, assieme alla mamma: di certo penseremo a te, a come aiutarti a crescere serenamente, a come convivere nel modo migliore con una malattia che non deve impedirti di avere una vita normale.

Ti rivedremo bambina e proveremo ad immaginarti adolescente e, più in là, adulta: godremo del passato e, qualche volta, sogneremo ad occhi aperti un futuro tutto da costruire.

Rivedremo il nostro ruolo di genitori e scopriremo che abbiamo ancora tanto da imparare: sarà insomma anche per noi un altro “campo-scuola” !

  Il papà di Emanuela ‘99

 

7 marzo 1999. Marco è tornato dal campo scuola di Misurina; si è chiuso nella sua stanza a giocare con il computer, dice lui, .... ma io lo so è nostalgia.

Nostalgia per i suoi amici, per la vita libera, fuori dal suo quotidiano “tran-tran”, dell’essere fuori di casa... indipendente.

Marco vorrebbe essere molto più indipendente, ma non si butta.

Misurina è un trampolino! Forse un po’ imposto l’anno scorso... infatti è stata dura: la prima volta che si allontanava da casa e che doveva prendersi delle responsabilità, ma ci è riuscito.

Anche noi ci siamo riusciti con molta ansia, soprattutto quando lo abbiamo sentito piangere al telefono.

Però quest’anno è stato diverso: voleva partire, non vedeva l’ora. E noi genitori eravamo orgogliosi: “E’ proprio cresciuto” ci dicevamo.

Ma quando torna, come l’anno scorso, lo dobbiamo lasciare stare per un po’. Poi, quando gli passa questa nostalgia, ci tempesta di parole, ci racconta le sue giornate e le serate passate a giocare a carte di nascosto, le sue simpatie, di quando la professoressa lo svegliava di notte per un controllo (“Ma lasciatemi dormire”!), ci fa ridere, ci divertiamo con lui che ricorda tutte queste cose.

Decisamente Marco è cresciuto ancora un po’, anche quest’anno.

Misurina non serve solo per imparare a controllarsi le glicemie, a farsi le iniezioni, a mangiare un po’ meno: serve a maturare divertendosi, lontano da casa, in soli 7 giorni.

  La mamma di Marco ‘99

 

Partenza per il campo scuola: stavolta per motivi logistici ti accompagno direttamente a Misurina. L’incontro con i “soliti” amici e i medici, baci e abbracci; poi un saluto frettoloso a mamma e papà: una scena già vista e ormai quasi abituale.

Le telefonate: quasi un dovere… il telefonino servirà pure a qualcosa!

E’ già sabato…

Così lontana nel tempo l’emozione della prima volta: un’ora prima ad aspettare l’autobus camminando sul marciapiede, il mio sguardo ansioso che cercava il tuo dietro il finestrino, il lungo abbraccio, quasi liberatorio per entrambi.

Ora possiamo aspettare: c’è prima l’amica con cui passare ancora qualche ora.

Incontro il tuo volto più tardi, verso sera: è un po’ triste.

“Ti siamo mancati?… Non ti sei divertita?…è successo qualcosa?…”

Domande che apparentemente non trovano una risposta, dubbi che rimangono in sospeso per un po’.

“Papà, l’anno prossimo forse non ci vorranno più [per l’età, N.B.]….. potremmo andare via da soli??

Sento un tuffo al cuore, come quattro anni fa.

Come allora, è un pezzo di cordone ombelicale che si stacca: d’improvviso mi accorgo che stai crescendo o, meglio, sei già cresciuta. Misurina, anno dopo anno, ha accompagnato le piccole tappe della tua crescita, ha dato forza alla tua voglia di libertà. ha contribuito a consolidare la tua capacità di autonomia e ti ha dato sicurezza. Nel gestire il diabete ma soprattutto la tua vita.

Anche se è difficile riconoscerlo e accettarlo, anche Misurina contribuisce ad allontanarti da noi, ma in fondo è giusto così.

Sorridiamo insieme

“Allora, papà, possiamo andare??”

“Forse, Emanuela, vedremo…….”

 Il papà di Emanuela ‘01

 

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